#25 – Ernst Lubitsch e l'identità
Di una ragazza travestita, di una bambola e di un incipit grandioso.
Buongiorno e benvenuti alla puntata #25 di CineCommedia! Oggi torniamo un po’ indietro nel tempo, parlando di due film realizzati da Ernst Lubitsch all’inizio della carriera, un regista imprescindibile per la storia del cinema, e in particolare della commedia cinematografica, che incontreremo molto spesso nel nostro percorso. I due film in questione sono Non vorrei essere un uomo (Ich möchte kein Mann sein, 1918) e La bambola di carne (Die Puppe, 1919).
Partiamo!
Finalmente torniamo in Europa! Ernst Lubitsch nasce a Berlino nel 1892 in una famiglia ebrea della piccola borghesia. Il padre, originario dell’Impero Russo, si era trasferito in Germania dove aveva una piccola sartoria, mentre la madre era tedesca. Lubitsch decide di non lavorare con il padre, e così nel 1911 entra a far parte della compagnia teatrale di Max Reinhardt. Nel 1913 entra nel mondo del cinema come attore, ruolo che piano piano abbandonerà per concentrarsi sulla regia.
Madame Dubarry (1919) è forse il film storicamente più importante della prima parte della carriera di Lubitsch, perché fu distribuito e molto apprezzato negli Stati Uniti. In un certo senso, questo dramma storico aprì la strada al cinema tedesco in America, in particolare ai capolavori dell’espressionismo degli anni successivi.
Le sue commedie, però, sono i film per cui è ricordato. Oggi parliamo proprio di due delle sue prime commedie: non molto famose, ma sicuramente molto interessanti, e a loro modo brillanti.
Non vorrei essere un uomo (Ich möchte kein Mann sein, 1918)
Durata: 45 minuti. (Qui il film integrale).
La storia è questa: Ossi (Ossi Oswalda) è una giovane ragazza vivace e ribelle. Ama divertirsi e non vuole adeguarsi all’ideale di “femminile eleganza” che le persone intorno a lei cercano di imporle. Quando lo zio parte per una vacanza, in casa arriva un nuovo tutore molto severo, il Dr. Kersten (Curt Goetz). Ossi, frustrata dalle regole e dalla mancanza di libertà, si chiede perché non sia nata uomo. Decide allora di travestirsi da ragazzo per provare a godersi finalmente un po’ di indipendenza.
Entra così in un locale e lì incontra proprio il Dr. Kersten, il quale non la riconosce. Tra situazioni comiche e malintesi, i due passano la serata insieme, diventano sempre più complici… e si baciano, più volte. Per farla breve, il giorno dopo il Dr. Kersten scopre che il ragazzo con cui aveva passato la serata è in realtà Ossi. La sorpresa però non rovina il legame tra i due: anzi, i sentimenti sbocciati resistono al travestimento. E si baciano di nuovo, stavolta senza più finzioni.
È chiara, quindi, la portata rivoluzionaria di questo film! Si gioca con l’identità di genere, c’è il desiderio di emancipazione femminile, e poi il bacio – apparente – tra due uomini. E questo è il punto più importante: Ossi ne esce vincitrice! Il film non la punisce, anzi: le regala un lieto fine.
E il tutto rimanendo un film leggero e divertente. In questo, gioca un ruolo fondamentale la bravura di Ossi Oswalda, una vera “clown”!
La bambola di carne (Die Puppe, 1919)
Durata: 64 minuti. (Qui il film integrale).
Lancelot (Hermann Thimig) è un giovane di famiglia nobile. Suo zio, un barone, vuole costringerlo a prendere moglie, ma Lancelot non ne vuole sapere: scappa di casa e trova rifugio in una abbazia. Quando l’abate viene a sapere che Lancelot è il nipote del barone e che riceverà una grossa somma di denaro se si sposerà, propone al giovane un piano perfetto: sposare una bambola e intascare il denaro. Lancelot accetta e si rivolge al miglior fabbricante di bambole, Hilarius (Victor Janson), e acquista una bambola che somiglia precisamente alla figlia di Hilarius, Ossi (Ossi Oswalda).
Le bambole di Hilarius sono molto realistiche: si muovono, ballano… Peccato che la bambola acquistata da Lancelot non sia una bambola! Per una serie di circostanze, infatti, la vera Ossi sta fingendo di essere una bambola. In estrema sintesi, pian piano Lancelot si innamora della “bambola” e alla fine Ossi gli rivelerà di essere una ragazza vera e i due si sposeranno.
Come in Non vorrei essere un uomo, anche in La bambola di carne si pone al centro il tema della libertà individuale, ma affiora con forza anche la questione femminile. Ossi, fingendosi bambola, interpreta letteralmente il ruolo di “donna-oggetto”, ma lo fa con consapevolezza e ironia, ribaltando lo stereotipo. In apparenza passiva, è in realtà l’unica personaggio davvero attivo e consapevole.
Allo stesso tempo, il film gioca in modo spregiudicato e sorprendentemente moderno anche con i temi dell’orientamento e del desiderio. Lancelot si innamora di una figura che crede essere priva di genere, o comunque non umana, ma che ha fattezze femminili. Il corteggiamento, i baci, l’attrazione che prova, si consumano in uno spazio ambiguo, dove la netta divisione maschile-femminile viene meno.
In entrambi i film, in fondo, l’amore nasce al di là dell’apparenza, in un gioco di ruoli e maschere che permette di interrogare, sempre con leggerezza, la costruzione sociale del genere e del desiderio.
Un’ultima nota: l’inizio del film è davvero degno di nota. Il film si apre con Ernst Lubitsch che posiziona i vari elementi di scenografia in una versione in miniatura. Poi comincia il film vero e proprio, e vediamo gli elementi, che prima erano in miniatura, a grandezza naturale.
Davvero brillante, il miglior modo per entrare nel film!
Benissimo, siamo giunti alla conclusione. La settimana prossima parleremo del film più rappresentativo della commedia nel cinema muto, forse addirittura del cinema muto in generale: Safety Last! (1923) di Harold Lloyd.
Non mi resta quindi che ringraziarvi per aver letto anche questa puntata e augurarvi una buona visione. A venerdì prossimo!